Aulo, che come abbiamo detto sopra era stato lasciato al campo in funzione di propretore, indotto da tale indugio a sperare o di portare a termine la guerra, o di sottrarre denaro al re con la minaccia dell’esercito, nel mese di gennaio chiama fuori dai quartieri d’inverno i soldati per una spedizione, e a marce forzate, nel rigore dell’inverno, raggiunge la roccaforte di Suthul, dove si trovavano i tesori del re. E benché per l’avversità del clima e per il vantaggio che derivava al luogo dalla sua posizione non si riuscisse né a conquistarla né ad assediarla, tuttavia, o per fingere di farlo con l’intento di accrescere il timore al re, o accecato dalla brama di conquistare la fortezza per via dei tesori, faceva avanzare le gallerie, innalzare un terrapieno e affrettava la preparazione delle altre cose che fossero utili alla sua impresa.
Ma Giugurta, che si era accorto del comportamento vano e dell’incapacità del luogotenente, astutamente dava spazio ai suoi folli intenti, inviava ripetutamente ambasciatori a supplicarlo, ed egli stesso conduceva l’esercito per luoghi boscosi e per vie secondarie come per fuggirlo. Alla fine, con la speranza di una tregua, indusse Aulo, abbandonata Suthul, a seguirlo in luoghi appartati come se stesse battendo in ritirata: in tal modo avrebbe occultato meglio i suoi crimini. Frattanto giorno e notte attraverso uomini astuti saggiava l’esercito, corrompeva i centurioni e gli ufficiali della cavalleria perché alcuni passassero dalla sua parte, altri abbandonassero la loro postazione a un segnale stabilito. Dopo che ha disposto tutto secondo i suoi piani, in piena notte, all’improvviso, circonda l’accampamento di Aulo con una turba di Numidi. I soldati romani, spaventati dall’inatteso attacco, prendono alcuni le armi, altri si nascondono, altri fanno coraggio a quelli colti da paura, si affannano dappertutto. Grande è l’impeto dei nemici, il cielo è oscurato dalla notte e dalle nubi, il pericolo è duplice; insomma, non si capiva se era più sicuro darsi alla fuga o rimanere. Ma del gruppo di quelli che poco fa abbiamo detto che si erano lasciati corrompere, una coorte di Liguri con due squadroni di Traci e alcuni soldati semplici passarono dalla parte del re, e il centurione primipilo della terza legione offrì ai nemici un punto d’accesso attraverso la trincea che aveva ricevuto in custodia, e per essa fecero irruzione tutti i Numidi. I nostri, in fuga vergognosa, i più abbandonando le armi, ripararono su un vicino colle. La notte e la razzia dell’accampamento trattennero i nemici dall’approfittare della vittoria. Poi Giugurta, il giorno seguente in un incontro con Aulo parla così: pur tenendolo stretto assieme all’esercito tra la fame e il ferro, tuttavia, memore delle umane vicende, se avesse stipulato con lui un patto, avrebbe fatto passare tutti salvi sotto il giogo; inoltre doveva abbandonare entro dieci giorni la Numidia. E benché queste condizioni fossero pesanti e piene di disonore, tuttavia, poiché al loro posto c’era la paura della morte, si fece la pace così come aveva deciso il re.