Romanità e fascismo

Un altro campo di ricerca riguarda un aspetto finora assolutamente inesplorato: la politica fascista delle statue romane. Nel libro di...

Un altro campo di ricerca riguarda un aspetto finora assolutamente inesplorato: la politica fascista delle statue romane.

Nel libro di Mosse sulla nazionalizzazione delle masse il tema dei 
monumenti nazionali occupa un posto importante. I concetti di
 «architettura parlante» e di «spazio sacro» esprimono bene l’importanza di questa vicenda: i monumenti analizzati da Mosse simboleggiavano «gli ideali del bello
 e del sacro in maniera diretta e inequivocabile». Con essi, il fatto politico si trasformava in fatto religioso: «la
contemplazione di un monumento nazionale doveva dar luogo a riti sacri, al culto della religione laica della nazione». Un esempio ci viene offerto dall’Hermannsdenkmal, il monumento ad Arminio eretto sul presunto luogo della battaglia di Teutoburgo del 9 d.C., che nella seconda metà dell’Ottocento divenne meta di pellegrinaggi collettivi, di rituali, di feste. E tale rimase in epoca nazista: la storia antica divenne storia contemporanea e alimentò la religione della patria. Nella stessa epoca, per volontà dell’imperatore Napoleone III, veniva eretto in Francia, sul monte Auxois, il monumento all’antico eroe gallico Vercingetorige, sconfitto da Giulio Cesare nella battaglia di Alesia. Come il pendant tedesco, questo monumento divenne meta di pellegrinaggi collettivi e di rituali di massa: ancora una volta la storia antica faceva palpitare i nazionalismi dell’età contemporanea.

L’Italia non ha avuto monumenti dedicati a eroi romani paragonabili a quelli di Arminio o di Vercingetorige. Prevalse sempre l’idea di Roma, rappresentata simbolicamente dalla lupa romana e dall’emblema del fascio (nelle sue varie versioni, da quello francese a quello fascista). L’Italia non aveva infatti un antico padre fondatore come la Germania o la Francia; tuttavia, con il fascismo prese corpo quella che si potrebbe definire una “politica delle statue romane” che, partendo dalla Capitale, negli anni Trenta disseminò quasi tutta la penisola di simulacri di antichi eroi romani, tra i quali spiccavano soprattutto Giulio Cesare e Augusto. Per prima fu Roma a ricevere le copie bronzee di quattro protagonisti della storia antica: Giulio Cesare, Augusto, Nerva e Traiano. Successivamente, altre statue di Giulio Cesare e di Augusto furono donate a varie città, come Aosta, Torino, Bologna, Cividale, Pola, Rimini, Brindisi, Napoli. Sondaggi effettuati presso alcuni archivi italiani hanno fatto emergere l’esistenza di una vera e propria politica delle statue: la ricerca – di imminente pubblicazione – è dunque finalizzata alla ricostruzione delle sue motivazioni, degli aspetti economici che la sostennero, della dialettica tra centro e periferia che la caratterizzò, dei criteri che ispirarono la concessione delle statue o il diniego dell’assegnazione. Si analizzerà poi l’atmosfera delle inaugurazioni di questi monumenti, i discorsi ufficiali, le cerimonie collettive che si svolgevano nei pressi di quelle statue romane in occasione di speciali ricorrenze.

Coordinatore scientifico: Andrea Giardina

Responsabile scientifico: Paola Salvatori